Andrea ha 30 anni e soffre di attacchi di panico: sono iniziati circa tre anni fa, inizialmente in modo saltuario, in seguito invece presenti tutte le volta che deve uscire di casa per andare al lavoro.
Andrea comincia a star male già al risveglio, e per questo motivo arriva sempre tardi al lavoro. I suoi sintomi sono nausea, vomito, stanchezza e dolori al petto. Andrea è arrabbiato con gli amici perché, a suo dire non lo cercano più.
Inoltre, è arrabbiato con i suoi genitori: in particolare con la madre, perché secondo lui è vittima del padre e non sa farsi valere: in realtà i genitori sembrano volersi bene, litigano poco perché hanno trovato un compromesso per andare d’accordo sia in casa che al lavoro, conducono infatti l’azienda di famiglia con buoni risultati.
Verso il padre, prova invece rabbia “perché si sente svegliato bruscamente tutte le mattine”.
In realtà, Andrea fatica molto a svegliarsi, il padre deve chiamarlo ripetutamente, e solo dopo molti e ripetuti richiami trova la forza per trascinarsi in bagno dove si contorce dai crampi e vomita. In ufficio, non riesce mai ad arrivare con meno di mezz’ora di ritardo.
L’attacco di panico si manifesta con un dolore al petto “come una morsa” – per il quale Andrea ha anche richiesto più volte aiuto in Pronto Soccorso- associato a tachicardia, nausea vomito e mal di stomaco. Dopo gli esami accurati a cui è stato sottoposto, i medici hanno escluso sia la causa cardiologica che gastro-intestinale. Alla luce dei molteplici interventi, anche molto recenti, richiesti da Andrea in Pronto Soccorso, non ritengo di dover inviare il paziente al cardiologo, anche visto il buon avvio della nostra relazione terapeutica.
Questi sintomi regrediranno, diradandosi già nel corso dei primi interventi terapeutici con EMDR.
Il disordine emotivo di Andrea dipende da una disfunzione del suo modo di leggere la realtà. Dal lavoro al tempo libero, agli amici, ai genitori, alle relazioni con l’altro sesso, Andrea si pone in un’ottica unilaterale e non riesce a integrare una buona lettura coi punti di vista delle persone con cui si relaziona. Analizzo a titolo esemplificativo solo la modalità disfunzionale di Andrea nel leggere il comportamento degli amici che hanno smesso di cercarlo.
Dal racconto di Andrea, gli amici vengono rappresentate come figure supportive: appena scoperto che il loro amico stava male, si sono dati da fare sia per informarsi circa lo stato di salute, andare a trovarlo a casa, fargli compagnia invitandolo ripetutamente ad uscire con loro, che nel fornirgli supporto, che però Andrea ha rifiutato per non “farsi vedere in quelle condizioni”.
In questa fase, durata molti mesi, Andrea decide di spegnere il telefonino, negarsi, non cercare gli amici e impedire loro di cercarlo. Quando gli amici smettono di cercarlo, Andrea si è trovato solo ad aspettare una telefonata che non arrivava.
Dopo diverse sedute per rileggere i comportamenti tenuti nei confronti degli amici, Andrea esprime un’autocritica destinata a dare una svolta ai suoi sintomi. Andrea si rende conto di aver lui stesso rifiutato i suoi amici, e non il contrario.
Andrea scopre altresì che a scatenare il suo malessere è stata la convinzione -non avendo mai avuto una ragazza- di non poter essere attraente per interessarne qualcuna. Recuperata la relazione con gli amici, Andrea sviluppa una sensazione crescente di benessere, riprende a frequentare gli amici e i luoghi a lui familiari, prima abbandonati, e gradualmente diventa sempre più fisiologico e normale avere maggiore fiducia in sé stesso.
Giova dire che nel nostro percorso non abbiamo dato molto spazio ai sintomi di panico, ma alle cause che li hanno prodotti.
Dopo alcuni mesi, Andrea conosce una ragazza interessata a lui ma ha paura di coinvolgersi, trova giustificazioni ma alla fine riuscirà a soffermarsi e vedere questa sua modalità.
Tutto procede da quel momento, ed oggi Andrea non ha più quel vissuto di differenza/diversitá esperito anni fa