Sempre di più, anche in Italia adesso, si parla del fenomeno dei ragazzi ritirati, quelli che in Giappone vengono definiti come hikikomori.
ll termine Hikikomori significa letteralmente “isolarsi”, “stare in disparte” e viene utilizzato per riferirsi ad adolescenti e giovani adulti che decidono di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi (da almeno sei mesi fino a diversi anni), rinchiudendosi nella propria camera da letto, senza aver nessun tipo di contatto diretto con il mondo esterno.
Il periodo medio di isolamento è di circa 39 mesi, ma può variare da pochi mesi a parecchi anni (Saito, 1998).
Di solito sono giovani di sesso maschile che decidono di rinchiudersi volontariamente nella propria stanza evitando qualunque contatto diretto con il mondo esterno, spesso famigliari inclusi (Aguglia et al., 2010).
Tra i fattori di rischio, troviamo fallimenti scolastici in giovani con buone capacità di apprendimento e aver subito bullismo.
Questo fenomeno colpisce i ragazzi già intorno al periodo delle medie o nei primi anni di scuola superiore. “Senza un’apparente motivo”, “di punto in bianco” spesso raccontano i genitori, i figli si barricano nelle loro stanze, in un mondo fatto di musica, libri, Internet, social network, il tutto racchiuso fra quattro mura, la loro stanza.
I ragazzi ritirati disertano la scuola, i coetanei, l’amicizia e la sessualità: molto spesso il primo e più̀ eclatante sintomo del ritiro sociale si manifesta con il rifiuto della scuola, indirettamente rappresentato da una costellazione complessa e dolorosa di problematiche fisiche come mal di pancia, mal di stomaco e mal di testa.
“Mentre il gruppo accelera nelle sue mille interazioni e costruisce nuovi modi e riti, il ragazzo rimane seduto al suo banco e, gradualmente, si allontana da un tracciato di crescita condiviso con la propria generazione. È questo il momento in cui, più o meno consapevolmente, emerge il bisogno di prendere distanza dal luogo dove vive il gruppo.”
Solo una parte delle persone affette dal disturbo passa il proprio tempo connesso ad Internet ma, quando succede, il tempo di permanenza davanti al computer arriva fino a 10-12 ore giornaliere.
Se inizialmente si può pensare che sia “un momento”, spesso i giorni diventano settimane, che possono diventare mesi o addirittura anni.
L’impotenza è il sentimento che contraddistingue principalmente l’esperienza del genitore, come la rabbia e la disperazione.
In questi casi è importantissimo far sì che questa situazione non si cronicizzi, che il ragazzo non perda completamente il proprio percorso evolutivo e che la richiesta di aiuto e l’intervento vengano fatti il prima possibile. Talvolta proprio all’interno delle mura di casa.
Solitamente il primo contatto avviene con i genitori, se non è praticabile accompagnare il ragazzo presso lo studio, è possibile effettuare delle visite domiciliari, per conoscere il ragazzo e proporgli un percorso.
Parallelamente, avviene una presa in carico della famiglia o della coppia genitoriale, per sostenere i membri della famiglia nel loro disagio e nel supportare il ragazzo.