Grazie, e con, Chiara Monateri, giornalista di Radio Deejay, abbiamo condiviso impressioni e storie riguardo Penpalooza e gli amici di penna: https://www.deejay.it/articoli/caro-amico-ti-scrivo-il-conforto-degli-amici-di-penna-contro-la-solitudine-da-lockdown/
Il lockdown ci ha fatto sperimentare tanti cambiamenti e limitazioni nella nostra socialità e quotidianità, con i quali abbiamo cercato di convivere e alleviare in tanti diversi modi, che a volte hanno funzionato, altre volte no. Abbiamo proceduto per prove ed errori, cercando di capire cosa funzionasse per noi, facendo anche i conti con il fatto che certe cose, che prima ci davano piacere, non sortissero sempre lo stesso effetto. Ad esempio, le telefonate con gli amici: per alcuni sono diventate faticose, dato lo stress da entrambe le parti, o la diminuita varietà di argomenti, o la minor disponibilità emotiva a raccontarsi ed ascoltare, date anche delle aspettative che magari maggiormente potevano sentire frustrate.
Penpalooza è stato scoperto da persone differenti, con scopi differenti. Ci sono persone che me ne hanno parlato perché incuriosite da un’attività differente, altre perché hanno trovato in questo strumento, un vero mezzo terapeutico. Le parole che le persone hanno più utilizzato per descriverne l’esperienza sono state: magico, attesa, dolce, inaspettato, fiorire, comunità gentile, gratitudine, connessione.
Come mai proprio queste parole, e non solo anacronistico, strano, estranei?
Immagino perché in un momento di profonda solitudine, scrivere a persone estranee, a cui non si deve niente, con un fine ancora da esplorare, ha permesso loro di “stare” sia su stesse che su di loro, scoprendo insieme il “perché lo stiamo facendo”. Molti hanno viaggiato in diversi continenti, grazie ai francobolli, a piccoli regali, a polaroid, vivendo momenti della vita dell’altro, in una situazione e momento storico unico, mai vissuto prima, ma che tutti condividevamo, globale. E a differenza dei rapporti quotidiani, istantanei (grazie agli sms, ai social, etc.), faceva ri-scoprire la dimensione del rito e dell’attesa, come direbbe la volpe del Piccolo principe. Aspetti che compongono un legame, aggiunge Exupery, ma che gli uomini hanno dimenticato.
Un altro fattore che credo sia stato importante, è proprio la dimensione dell’estraneità, a cui, da una parte siamo portati evoluzionisticamente a reagire con cautela, dall’altra, può permettere il potersi giocare nell’interazione in un modo differente. Ci sono persone che relazionalmente fanno molta fatica con coloro che frequentano abitualmente (colleghi, amici del partner), ma che con il compagno di viaggio in treno, si scoprono intraprendenti, socievoli, meno preoccupati del giudizio dell’altro.
In particolare, la prima persona che mi ha parlato di Penpalooza, è stata una ragazza che delle relazioni “reali”, non ha voluto sentire nemmeno parlare per anni, Durante la pandemia, per diversi motivi, non ha potuto proseguire la terapia online, e quando l’ho rivista in ottobre, ho notato qualcosa di diverso. Durante il lockdown, nel momento di massimo ritiro, la miglior zona di comfort possibile per lei, ha cercato, e trovato, uno strumento in grado di farla comunicare con gli altri, in un modo gentile, umano e vero. Sono rimasta davvero colpita. Mi ha allora raccontato di come scrivere e ricevere queste lettere le ha permesso, dopo così tanto tempo, di narrarsi, ascoltare, e sentirsi connessa, e di come riuscisse a percepire l’affetto, la premurosità e la cura dell’altro, senza tutti i timori che, nella quotidianità, glielo impedivano. Questa storia è uno degli esempi più terapeutici di questo strumento.
Spero quindi che le tipologie di strumento come Penpalooza, possano incrementare il ventaglio di opzioni per comunicare, facendo scoprire in noi, anche inaspettatamente, il desiderio, e allo stesso tempo, le condizioni migliori, per stare con noi stessi e con gli altri.