Nel giorno del suo matrimonio, la duchessa Eugenie di York ha scelto di indossare un abito scollato sul dorso, disegnato secondo le sue direttive, che lasciava scoperta una cicatrice sulla schiena, esito di un’operazione chirurgica alla colonna vertebrale a cui si sottopose all’età di 12 anni per una forma grave di scoliosi.
Un messaggio non da poco, che la maggior parte ha interpretato come un “le nostre imperfezioni fanno parte di quello che siamo, ci rendono quello che siamo e possiamo addirittura esserne fieri”.
Ovviamente non so quale sia stato precisamente il pensiero di Eugenie, ma la possiamo ringraziare per aver fatto nascere questo tipo di discussioni.
Questa vicenda mi ha fatto venire in mente la storia di una mia paziente di 16 anni, Marta
Ho incontrato i genitori di Marta prima dell’estate: la vedevano sempre più nervosa, irritabile e distante e pensavano che il motivo consistesse nell’aver scoperto all’età di 12 anni di avere un problema grave di scoliosi e che questo l’avesse resa e la facesse sentire “una ragazza diversa dalle altre”. Inoltre, per questa patologia, a dicembre di questo anno si sarebbe dovuta sottoporre ad un delicato intervento chirurgico, e pensavano che parlarne con qualcuno le sarebbe potuto essere di aiuto.
Per questa patologia, Marta ha dovuto portare il busto per tre anni fino all’anno scorso, ma purtroppo non è stato risolutivo: non può praticare attività sportiva agonistica come faceva prima e soprattutto non ha risolto le paralisi temporanee che saltuariamente le capitano. Il primo episodio è avvenuto in prima media, a questo ne sono seguiti altri. L’intervento potrebbe anch’esso non essere risolutivo, ma sembra che Marta voglia tentare; i genitori appaiono invece refrattari all’idea, sono preoccupati dell’invasività e dei rischi dell’intervento, a cui si somma un lungo periodo di convalescenza e il timore che possa essere inutile.
Mi hanno detto un’altra cosa che mi ha colpito molto: che fin da piccola Marta è sempre stata la loro roccia, che la chiamavano “Marta sempre contenta”, e che da un bel po’ di tempo “non la riconoscono più”.
Ho poi conosciuto Marta, una teenager davvero graziosa, vivace e piena di interessi, con molti amici, ma effettivamente molto lontana emotivamente dalla propria famiglia: abbiamo concordato di lavorare sulla sua irritabilità in famiglia, che non sapeva spiegarsi, sulla patologia medica e sull’intervento. Abbiamo quindi individuato gli eventi più traumatici legati alla storia della patologia e deciso di lavorarci con la tecnica dell’EMDR, che permette di rielaborare i ricordi traumatici, integrandoli nella nostra storia e diminuendo il disagio associato ad essi.
E’ emerso come la difficoltà primaria di Marta non fosse stata la scoperta della patologia alla schiena, né le paralisi, ma il fatto di non essersi sentita sostenuta, come se fosse stato scontato che la “Marta sempre contenta” dovesse riuscire ad affrontare il busto e le difficoltà, con lo stesso sorriso di sempre: “ero terrorizzata quando siamo andati a prendere la misura del busto: è il loro atteggiamento … non li ho sentiti, mi sono sentita sola; loro hanno sempre preteso da me, non mi sono sembrati genitori, sembravano due lì a caso”.
Il lavoro con l’EMDR è quindi servito a mettere in luce la percezione di mancato supporto che Marta non si era nemmeno resa conto di aver provato. Siamo poi riuscite a integrare la sua rappresentazione con delle ipotesi alternative del comportamento dei genitori, immaginando fossero spaventati e preoccupati a loro volta, e che questo non abbia permesso loro di starle vicino come lei avrebbe desiderato.
Dopo aver elaborato i ricordi target, il nervosismo di Marta è molto diminuito, come anche le liti, ed è riuscita autonomamente ad affrontare la questione con i propri genitori e a prendere la decisione di effettuare l’intervento, “lo voglio fare assolutamente, e dopo, farò un tatuaggio intorno alla cicatrice, lo sto gia pensando”.
Ho fatto poi un pezzo di lavoro assieme ai genitori, di restituzione di quanto emerso e di comprensione del come mai avessero letto Marta come quella “forte”, “capace di affrontare le avversità”, quale senso avesse avuto. Questo ha portato ad un’ulteriore comprensione e integrazione delle rappresentazioni personali dei membri della famiglia, e quindi ad un incremento delle capacità metacognitive, strumento utile a comunicare e gestire le difficoltà.